LA CASA DI CARTA


Serie tv spagnola che ha spopolato appena Netflix, fiutando l’affare, la ha acquistata, rimontando la prima stagione, diminuendo gli episodi (circa 41-57 min) e dividendola in due parti.
Le prime due raccontano gli sviluppi di una rapina che una banda, che dire ben organizzata è dire poco,  compie all’interno della zecca di stato, con la supervisione della mente esterna del piano: il professore, un uomo che potremmo  definire, senza troppi giri di parole, a metà tra l'essere ciò che comunemente chiamiamo uno sfigato e un genio e che nel corso delle stagioni scopriamo dal passato e dalla mente veramente complessi.
Le ultime due stagioni, invece, vedono i nostri criminali impegnati a fondere e rubare tutto l’oro possibile dalla banca di Spagna. 


Forti legami si creano tra i componenti, legami che tuttavia influenzano molto di più gli eventi nelle ultime due stagioni rispetto alla prima, più didascalica, fino a compromettere seriamente l’esito delle operazioni.
Tante cose ci sarebbero da dire su questa banda, ad esempio sull’istruzione che hanno ricevuto dal professore prima del colpo e che apprendiamo nel corso delle puntate in continui flashback che caricano di significato il presente. E dunque scopriamo che i rapinatori sanno fare operazioni chirurgiche di base e che hanno sempre un piano di riserva se qualcosa va storto; scopriamo che hanno un inno, che molto ci dice sul significato più profondo dei loro atti criminali ed è una canzone della storia partigiana d’Italia,"Bella ciao”. Un omaggio a cui gli italiani non hanno saputo resistere. E non è l'unico omaggio alla canzone italiana, anche nell'ultima stagione, infatti, uno dei nostri beniamini si cimenta in un grande classico del romantico italiano, Ti amo di Umberto Tozzi! 
In questa recensione non troverete troppi spoiler, perché vi sembrerà strano, ma vi garantisco che qualcuno ancora non ha visto questa serie, altri devono terminarla, altri ancora sull’onda del successo dell’ultima stagione si sono appena approcciati alla prima. 


Qual è la vera chiave del successo di questa serie? E’ da trovare nella psicologia di ognuno di noi, nel fatto che empatizzare con dei criminali per i quali tifiamo, stiamo in pena, ci emozioniamo, fa parte del lato oscuro di tutti che il racconto di una storia solo dal punto di vista dei cattivi, ci rende quasi accettabile. E non è certo la prima volta, penso ad esempio a Gomorra.
E poi per il messaggio che veicola. Che non è solo quello della ribellione ma stuzzica quella sensazione radicata in noi secondo cui lo stato ci ha sicuramente rubato qualcosa ed è giusto riprendersela in tutti i modi, anche così. Una serie cha creato un' immedesimazione tale che sembra quasi che il denaro e l’oro, alla fine venga diviso anche con gli spettatori.

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