giovedì 30 aprile 2020

EL HOYO-IL BUCO di Galder Gaztelu-Urrutia


Inutile negarlo, un film senza dubbio dalle tinte forti, ma il significato recondito di tutta la pellicola, ha avvicinato alla sua visione anche chi preferisce film di tutt'altro genere.
Inutile negare, inoltre, che per  il momento particolare che stiamo vivendo,  in cui ci sentiamo tutti più uniti sotto lo stesso cielo e disgustati da ogni forma di differenza sociale, questo film ha ancora più possibilità di fare breccia in molti di noi.

Una prigione sotterranea verticale, che ospita al massimo due persone per livello, al centro un buco che viene riempito una volta al giorno da una piattaforma rettangolare su cui, al livello 0, un folto gruppo di chef adagia pietanze succulente,  cucinate con estrema meticolosità.  In questa prigione si può entrare per espiare una pena, oppure,  come fa il nostro protagonista,  Goreng, per scelta personale come una sorta di esperimento sociale. Ogni detenuto può portare con sé solo un oggetto di libera scelta, Goreng ha deciso di portare il Donchisciotte. Già dal primo giorno trovandosi a un livello intermedio, con un uomo arrivato lì molto prima di lui e che ha portato con sé un coltello che si autoaffila ogni volta che viene usato, Goreng ha la possibilità di capire che l’autogestione nella prigione verticale non funziona. Chi sta ai piani alti divora più cibo di quanto veramente gli serva, così il cibo arriva ai piani intermedi tumefatto, orrorifico, marcio e di conseguenza,  chi si trova ai piani più bassi soffre la fame. E gli uomini che soffrono la fame cosa sono capaci di fare? Sono in grado di provare ancora il sentimento della fratellanza o vedono in chiunque li circondi il ladro, il nemico, il pasto?
Nella prigione c’è una donna che dice di essere lì con il figlio e ogni settimana scende i livelli sedendosi sulla piattaforma nella speranza di ritrovarlo, è l’unica che ha una missione, che riesce ancora a provare un sentimento forte e positivo lì dentro e nonostante questo non si esime dal compiere gesti efferati per difendere se stessa e il suo obiettivo.


La forte implicazione sociale è evidente fin dai primi minuti del film. La prigione non è altro che un allegoria delle scale sociali presenti nel mondo, chi ha di più continua ad ottenere di più e avidamente non si cura di chi è sotto di loro, facendoli patire la fame. La chiave di volta appare semplice a Goreng, dividere le ricchezze di cibo in modo equo in modo che possa arrivare anche ai piani più bassi, solidarietà per annientare le disparità.
Ma in questo esperimento sociale viene fuori tutto l’animo della maggior parte degli uomini, egoistico, avido, che pensa solo al suo cantuccio. Un uomo che per agire ha bisogno di essere minacciato, di vedere messo in pericolo l’integrità del cibo che arriverà da un piano più su, e in ogni caso non basta.
I toni freddi, tutti concentrati sul blu, il nero e il grigio non fanno altro che sottolineare la sensazione claustrofobica che tutto l’edificio sotterraneo esprime. 


L’idea dell’aiuto reciproco di un mondo con pari ricchezze e quindi dignità è talmente utopica che resta sospesa in un edificio verticale, in cui i livelli bassi sono molto di più di quelli che si conoscono, così come le forme sommerse di povertà nel mondo. Sospesa come la sensazione, alla fine di questo film, che ciò che abbiamo visto ha proprio a che fare con noi.   

18 REGALI di Francesco Amato

Storia di Elisa, che perde la vita a causa di un tumore al seno e come ultima cosa riesce a dare alla luce la sua bambina, Anna,  di cui era incinta quando ha scoperto della malattia. Prima di morire ha pensato, però, a come essere comunque presente nella vita della figlia lasciandole in eredità un regalo da scartare ad ogni compleanno futuro fino ai 18 anni.


Anna, crescendo, inizia ad essere insofferente a questa tradizione, così nel giorno del suo 18° compleanno,  dopo una furibonda lite con il padre Alessio, decide di scappare e girovagare per la città di notte, quando attraversano incautamente, un’auto la travolge. Da qui inizierà un viaggio particolare, per niente scontato, di ricongiunzione tra madre e figlia. 

Film intimo e leggiadro, ci porta amabilmente tra gli intrecci di questa storia dolcissima, facendoci sperare fino all’ultimo un finale che già sappiamo non possa esistere. Anna è una ragazza ribelle, ma è una ribellione più profonda della sua età adolescenziale, è una ribellione intrisa dell’ingiustizia subita ad appena poche ore di vita.  
Attenzione, l’argomento trattato non deve trarre in inganno, si tratta di un film molto solare, dai toni sgargianti e luci calde.



Bellissima caratterizzazione dei personaggi, dal marito Alessio, a cui Elisa fa un po' da madre, all’esuberante amica conosciuta in ospedale, a cui affida Anna per l’insegnamento dell’inglese, e anche perchè vorrebbe che l’amica infondesse alla figlia un po’ del suo spirito combattivo e divertito. Spirito che scopriremo da più adulta, non manca ad Anna e che in realtà ha preso anche dalla sua mamma.
Se volete lasciarvi trasportare dalle emozioni state pensando al film giusto. Inusuale per il panorama italiano, di un cinema così sentivamo la mancanza. La stretta al cuore più forte: scoprire che è un film tratto da una storia vera.

mercoledì 29 aprile 2020

DARK WATERS-CATTIVE ACQUE di Todd Haynes




Tratto da una storia vera.  Rob Bilott, avvocato di Cincinnati, dal difendere il mondo dell’industria chimica in un grande studio della città, si ritrova a perorare la causa del contadino Wilbur Tennant della Virginia (suo stato natale), che accusa il colosso della chimica Dupont di riversare sostanze tossiche nel lago, portando alla morte i suoi animali che si abbeverano a quelle acque, tra mostruosi tumori e atroci sofferenze.
Ma c’è di più, ben presto l’avvocato scopre che in Virginia si stanno ammalando anche le persone , tra cui Wilbur Tennant, a cui intanto Rob si è affezionato.
Ha inizio una dura battaglia legale che cambierà per sempre la vita del protagonista e che metterà a repentaglio anche la sua serenità famigliare. 


Tratto da una inchiesta giornalistica pubblicata sul New York Times, il regista riporta la grazia che gli era propria già in film come Carol. Abile a delineare lo sfondo della Virginia con i costumi e i paesaggi degli anni ’90.
Tutto il film si mantiene sui toni propri dei film di inchiesta giornalistica e del drammatico, non aspettatevi climax sconvolgenti, ma il racconto della battaglia legale con la passione che caratterizza il protagonista, basterà a farvi desiderare di  arrivare fino alla fine per scoprire se giustizia sarà fatta. 


Dal punto di vista cromatico, il film si basa su toni cupi, luci tendenti al bluastro che scavano ancora di più il volto del protagonista sempre più coinvolto e provato. 
Peccato per la semina non del tutto raccolta dell’incipit, in cui, negli anni ’70,  tre amici fanno il bagno nel lago per poi essere cacciati via mentre alcuni uomini gettano nell’acqua liquidi sospetti.

Cosa contribuisce a farci immedesimare in questa storia? Il fatto di scoprire di essere (o essere stati ) in qualche  modo coinvolti. Il veleno si nasconde sulle pentole delle famiglie americane e non solo e anche se nel film non viene accennato, noi che lo guardiamo lo sappiamo bene.  E allora pronti a fare il conto del pentolame che abbiamo a casa e delle sue caratteristiche.

Inevitabile per Rob cedere a qualche forma di compromesso nella dura battaglia contro il colosso della chimica e i suoi più disparati modi di nascondere le prove che gli incastrano.  Nonostante i compromessi (che non affievoliscono la sua voglia di verità, nonostante ne risenta fisicamente) Rob trova tutta la nostra comprensione in quanto “eroe” moderno che ha combattuto una battaglia praticamente da solo.


lunedì 27 aprile 2020

PARASITE di Bong Joon-ho


Iniziamo questo viaggio con il film rivelazione dell’anno che se non avete ancora visto,  vi consiglio vivamente di recuperare, non tanto perché si è aggiudicato ben 4 premi oscar, ma perché è stato accolto da tutti come il film di cui davvero si sentiva la mancanza nel panorama mondiale del cinema. E ne vale veramente la pena, ve lo assicuro.
Non fatevi spaventare dalle sue due ore di durata, fagocitatori di vite frenetiche, il tempo passerà in un baleno, soprattutto nella seconda parte del film.
Oscar alla regia e alla sceneggiatura meritatissimi, dunque , e non faticherete a dare ragione all’Academy appena avrete contezza delle inquadrature e della profonda caratterizzazione dei personaggi.



Ma veniamo a noi… Ki Woo vive in Corea del sud con la sua famiglia, in condizioni disagiate in un seminterrato in compagnia di scarafaggi e alla mercè di ubriachi che dalla strada orinano in corrispondenza della loro abitazione.  La svolta arriva con un lavoro trovato al giovane Kim da un suo caro amico che, prima di partire, lo segnala a una ricca famiglia come suo sostituto per insegnare  inglese alla loro figlia adolescente. E lo fa portando in dono una pietra portafortuna (non dimenticatevi di lei, ritornerà altre volte nel film). Il resto è giusto che lo vediate e vi sorprendiate come tutti, posso solo garantirvi che non mancherà un turbinio di eventi e azioni che si aggroviglieranno tra loro fino ad,  inevitabilmente,  scoppiare.




E’ evidente che Bong Joon-ho ripercorre un tema a lui caro: la differenza sociale e la conseguente rivolta, come fece nel 2013 con Snowpiercer, in cui un treno che viaggia all’impazzata avanti e indietro su quel che resta della terra ormai gelata, ospita negli ultimi vagoni i derelitti che si nutrono di barrette di scarafaggi. La testa del treno, paradisiaca, manco a dirlo, ignora ciò che avviene in coda al treno.

 In  Parasite, il regista porta avanti la sua lotta di classe attraverso l’uso di registri diversi, si passa agilmente dalla commedia, al thriller, dal thriller al drammatico. E in questo film non esistono buoni e cattivi, non esiste una posizione più giusta di cui prendi assolutamente le parti.  Nemmeno la signora, ricca borghese così tanto da essere la donna più ingenua del pianeta,  è giustificata dalla sua bontà poiché anche lei non è esente dai pregiudizi , dal considerare possibile solo la sua vita dorata.  La pioggia “apocalittica” che soffoca le abitazioni di fortuna negli scantinati, secondo la signora ha semplicemente spazzato via lo smog e ne è felice. La sua candida benevolenza non le impedisce (né a lei, né al marito) di tapparsi il naso disgustata dall’olezzo di chi vive nei bassifondi, in quella parte di città di cui probabilmente ignora l’esistenza.





 L’omaggio italiano è evidente soprattutto in una prima fase che ricorda la commedia all’italiana, penso a Mastroianni e Gassman ad esempio, tuttavia lo stile di Bong Joon-ho è ormai riconoscibile e di tutto rispetto. E poi…. Non siete curiosi di scoprire in quale punto del film Bong ha inserito In ginocchio da te di Gianni Morandi? Sì…avete letto bene!