Uno è il rampollo di una ricca famiglia, mentre la sua fidanzata proviene da una famiglia piccolo borghese che aspira un'agognata ascesa.
Liberamente ispirato all'omonimo romanzo di Stephen Amidon, il regista si sofferma sulla mercificazione delle persone, di quel capitale che le rappresenta e le definisce e per questo le etichetta nell'una o nell'altra fazione, tra chi vale e chi no, solo sulla base di quello che possiede. E il possesso è scivoloso, sfugge di mano e rovina le vite se si cura solo ciò che si ha e non ciò che si è.
Paolo Virzì va al cuore più oscuro del Paese, quello fatto di apparenza e denaro con il quale si cerca di insabbiare tutto.
E lo fa con un risultato sorprendente, attraverso personaggi ben caratterizzati, dal padre di lei sull'orlo del baratro che farebbe di tutto per entrare nel mondo dei grandi capitali attraverso la parentela ottenuta con la figlia, alla moglie, psicologa in attesa di un figlio in età matura. Poi ancora, per il mondo del denaro, un uomo radical chic che ha fondato tutto il suo io sul suo impero e poi c'è la moglie, perfetta immagine della ricca annoiata e insoddisfatta, alla ricerca del brivido.
Un racconto chiaro e vero, in un continuo gioco di piani temporali diversi e diviso in capitoli che raccontano attraverso tre punti di vista diversi, ciò che è accaduto nei 6 mesi precedenti l'incidente e ne chiarisce, dunque, le dinamiche e il contesto.
Una storia che continua ad essere, purtroppo, ancora oggi molto attuale.
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