Tutto ha inizio con una voce narrante maschile che racconta di aver trovato un diario scritto da una ragazzina e di aver deciso di continuarlo.
Ha inizio cosi la "favolaccia" con un c'era una volta un po' inusuale che ci fa capire da subito che siamo in un clima estremamente diverso da quello delle vere favole, non c'è nulla di idilliaco, di principesco e i cattivi si confondono con i buoni fino all'ultimo.
Forse ciò che resta della favola è quest'aria onirica, un po' sospesa che pervade tutto il film.
Siamo nella periferia romana di Spinaceto, in un quartiere di villette appartenenti a famiglie che non sono ricche, ma nemmeno povere. Siamo nello stesso contesto provinciale scelto dai registi per La terra dell'abbastanza, precedente film dei D'Innocenzo, trattata però con strumenti diversi.
Si sofferma su una generazione che sta crescendo in balia di genitori che non sanno minimamente cosa sia la pedagogia e non si sono mai interrogati a tal proposito. C'è la media borghesia e il disagio sociale che si incontrano e si riconoscono come uguali.
Un cast per lo più teatrale assieme alla sempre ottima conferma di Elio Germano. Film ricercato nella fotografia e nella scenografia. Le inquadrature sono intime, indugiano sui volti dei personaggi, ci fanno "spiare" le situazioni, ce le nascondono, a volte, facendocele solo intuire.
E' il racconto del seme della violenza che si insinua nelle menti prima e nei gesti poi, di quelle anime più candide che sono macchiate dalle vite di padri e madri che non hanno saputo fare di meglio, eppure sono " i migliori che conoscono".
I fratelli D'Innocenzo si confermano due bravi artisti, una nuova luce nel panorama cinematografico italiano.
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